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venerdì 14 novembre 2014

Instabilità

L'indignazione vera porta al sovvertimento degli equilibri.
Si prova a tentare la sorte con delle definizioni, che sono pura sconfitta.
Tu vivi per te!
"Tu per chi vivi?"
Io vivo per te.
"Non è vero!"
"E' vero, Ma tu non puoi riconoscere una verità tanto umiliante. Ti fa sentire come sei: molto piccolo..."
Un cane vive solo per il padrone.
I lupi in branco.
Gli uomini-lupo vivono come morti di fame.
Non verrà mai la fine del mondo. C'è una stupidità diffusa che non ha modo di coglierne i segnali.
C'è sempre una luce accesa all'ultimo piano della casa di fronte. E' un incubo. E' un richiamo che fa venire le vertigini.
"Non mi stenderò più sotto un albero."
C'è acqua e fango ovunque.
Se conosceste il sapore del declino vi lascereste convincere a non essere invidiosi.
Peccato era una buona occasione per conoscersi. Non ci sarà una prossima volta. Non è sempre prevista un'altra occasione.
Con quel cappello in testa mi sembri uno che ha problemi di capelli.
"E' la testa che non trova più copertura adeguata."
Ci si veste da pagliacci per prendere in giro chi ci guarda.
Anche chi non vede coglie un alone di verità. E' una percezione che porta nel mondo dei conflitti interiori: mentali.
Vestono male guardie giurate e certi cantanti del nord Italia. Alcuni sembrano scampati a tragedie ambientali che portano all'estinzione.
"Le Iene" lo guardano chi non ha rinnovato l'abbonamento a Sky.
"Con quello che costa!"
"Minaccia la disdetta. Ti propongono subito altre condizioni."
"Taci, per favore. Mi sembri un mendicante."
"Ma davvero!" trattiene lo stupore. "C'è da risparmiare un botto di soldi!"
"Ma quanto guadagni, coglione? Piangi per dieci euro in più o in meno?"
"Non ti rispondo."
Il vento non è mai di novità. E' scompiglio.
"Che pulisce l'aria."
In montagna l'aria è pulita.
"Una volta. Adesso è un delirio con le concentrazioni dei gas serra in aumento."
"Non mangerò più pomodori."
Spero che ritorni la bellezza perduta.
Non sarà capita, con lo sfacelo che ha creato il pessimo gusto.
"Non comprerò più cappellini. Mi hanno stufato. da oggi indosso solo giacche e cravatte."
I colori non sono indice di gioia. Sono l'esito della fine.
"Prima poi doveva capitare!"








giovedì 13 novembre 2014

Un'altra volta

Un'altra volta arriverà. Con le mani dietro il maglione. Lo sguardo appena socchiuso.
Metterà in mostra la pelle dei rospi, che sono usciti allo scoperto con tutta questa pioggia.
Non avremo pace finché ci saranno cattivi pensieri.
Solo le paure saranno un segnale di vitalità.
Un allarme toccherà in sorte ad ogn'uno, per avere sveglia la mente.
Scenderanno ancora a litigare per un pezzo di pane quei quattro figli di Eva, prima di lasciare campo libero alle spire di Pitone.
Il diluvio non è minaccia celeste!
E' la sete della terra che si affanna per ritrovare un equilibrio compromesso.
Non fate in modo di essere parte politica.
La politica non coinvolge il corpo. Occupa le mani di pochi.
Il resto del corpo è occupato in lezioni di maldicenza.
Resteremo da soli a guardare il tramonto.
L'alba è tramontata prima di sorgere.

martedì 11 novembre 2014

Non è finita

Le parole sono il frutto di una cattiva digestione. Si fanno gemito e dolore che non passa.
Se anche le parole fossero delicate sarebbe meno faticoso ascoltarle.
Non ci si ascolta più perché non c'è niente di genuino da raccontarsi. Ci raccontiamo le notizie dei telegiornali. Il Fatto Quotidiano e La 7 sono alla portata di mouse.
Se ti chiedessi: che cosa vorresti per Natale come regalo? Conosco già la risposta.
"Mi fai schifo e pena! Basta, davvero! Non avrai niente del genere da me! Scordatelo!"
Poi mi metto l'animo in pace e mi ascolto la partita alla radio. Tu fingi di leggere. Anzi, leggi.
Che stranezza la parola scritta. E' così disinvolta di questi tempi che neanche sembra di avere tra le mani un libro.
"Che cosa sembra?"
Lasciamo stare, va.
I libri avevano degli spunti. Erano scritti da scrittori.
Adesso li scrivono i calciatori e i malati terminali. Sono storie vere, però.
Io cerco storie create da menti brillanti. Le storie si vivono o si contemplano aprendo il cuore alle vite degli altri.
Le storie vere devono essere ideali, se no sono storie vere ma senza senso.
"Io ho una vita incredibile da scrivere!"
Conosco vite incredibili che non sono mai state scritte.
Socrate non ha mai scritto niente.
La trasmissione orale era dominio dei sapienti e dei ciechi.
Ora sapienti e ciechi scrivono storie per disadattati. Sono i nuovi confini della letteratura.
Ah, c'è chi adora qualcuno che gli dà emozione. Odia le storie troppo commoventi. Tiene lontano da sé gli sbirri. Non apre la porta ai Testimoni di Geova. Apre le gambe per prendere aria d'estate. D'inverno le tiene chiuse. Non si fida del freddo e degli sconosciuti.
I libri raccontano storie.
Bisogna saper raccontare.
Qual è il segreto?
"Tappatevi il naso"" Si dice così. "Tappatevi le orecchie!" Si diceva così. "Tappatevi quel che volete," non si dice ma ci si rode dentro.
Un libro di storia racconta la vita di Berlusconi.
Un libro di religione, la vita di Gesù.
Un libro di storia dell'arte, di san Sebastiano e la Sacra Famiglia.
Come rimpiango le città di mare. Le città di montagna mi mettono ansia.
"Ci sono poche città in montagna. I paesini di montagna sono carini."
Viene voglia di scomparire e non incontrare nessuno.
Lo fanno gli ipocriti, i poveri di spirito e i malati di cuore.
Prima bisogna liberarsi dei miti. Poi dei fantasmi, delle credenze stupide e degli uomini che credono di essere furbi.
Le donne sono fuori da ogni giudizio.
Per ora è così.
Anche se non c'è da prendere seriamente teorie che propalano differenze evidenti tra uomini e donne.
Ognuno porta in giro la sua figura.
Certe volte è talmente evidente che non è una figura da emulare.
Poveri gatti che diventano matti col vento. Cambiano una consonante, ma il disagio e profondo.
Mi viene voglia di tornare indietro nel tempo.
Platone era uno che mescolava volontà, desiderio e passione.
E' sempre bello avere un amico, anche per chi non crede nell'amicizia.
Da quanto tempo si combattono guerre.
Non è finita.



giovedì 6 novembre 2014

Novembre 2

Si può leggere anche al contrario, prima il numero e poi il nome. Il numero due del titolo è solo successione, rispetto a un titolo precedente che porta semplicemente il nome "Novembre".
Letto al contrario c'è un'intima verità, di un giorno che mi ha sempre accompagnato in tutta la vita. Me ne sono dimenticato, a volte, ma puntualmente a Novembre è tornato il sussurro di una voce che si è fusa a quella di chi mi manca da tanto e da sempre. Si è fusa ai loro sguardi, che vedo riflessi da sempre nelle cose celesti, nel sole, nel cielo terso, nelle nuvole bianche sospese sul niente, nelle cime dei monti, sulle brezze nervose dell'aria sopra i campi di grano, nel freddo degli inverni senza elettricità. 
Le carezze di mia madre sono state sentimento puro! Non egoismo, speranza di un figlio migliore degli altri. Niente di così sciagurato. Sono state trasporto, gentilezza, bellezza. Amore di un'alba di Dio. Sogni di primavera. Cataplasmi invernali. Affanno. Sussurri per vincere la solitudine, e la paura dei morti.
"I morti non fanno paura! fanno paura i vivi! Certi vivi!" la incoraggiava mio padre, col suo tono gentile da uomo di terra.
"Lo so" sorrideva lei. Sospirava, appena sollevata, ma con il dubbio su quelle paure che teneva per sé, nascoste e segrete.
Il giorno dei morti è il giorno del dolore di chi sopravvive a una tempesta. Il ricordo della bellezza di uno sguardo, di una voce, di un telefono che squilla.
"Come stai, figlio mio?" il sussurro e l'affanno, per una lontananza inaccettabile. "Cosa fai in quel mondo lontano? Eserciti il bene prima di ogni altro egoismo, piacere, desiderio? Il bene degli altri è il tuo sono la stessa cosa. Tu lo sai, te l'ho insegnato io. Te l'ha insegnato tuo padre e tutta quella gente che adesso è dentro i tuoi ricordi. Perché adesso sai cosa hanno significato quelle vite misere che t'hanno accarezzato, sorpreso, cercato, assalito con le loro urla terribili, rivolte al Signore, forti per farti sentire. Uccidono i silenzi, figlio mio! Uccidono i sussurri malvagi, gli sguardi spenti che scrutano di nascosto alimentando sentimenti perversi. Chi urla non uccide, molto spesso è ucciso da chi cerca un pretesto!"
"Va bene," rispondevo a mia madre, con la delicatezza nascosta nei miei vent'anni. "Sto bene, non ripetermi le cose che so!" 
"Non dirmi quello che devo fare io!" sospirava, con le sue paure trattenute, per sé e soprattutto per me che ero in quel mondo infinitamente lontano dal suo, dal nostro. "Continua a rispondermi e basta, fallo nel modo migliore, più onesto e più vero, e togli ogni dubbio, per quanto possa essere concesso alle tue parole e facoltà, alle mie domande e preoccupazioni." Quindi restava in silenzio, aspettando vigile un'altra risposta da me che avrebbe scomposto e ricomposto secondo la sua forma migliore di giudizio.
"Va bene," scuotevo la testa, anche se al telefono non si poteva vedere. "Ti voglio bene! Va bene?"
"No, non va bene!" reagiva, tra sé, apprezzando però quel bene e la sua dimostrazione. "E' il tono che dà senso alle cose! Anche al bene!"
Sapevo che aveva ragione, e voleva dimostrarmelo. Le rispondevo di sì, per negarle ragione e spiegazioni.
Ovviamente continuava e imponeva il suo ordine logico, che io, figlio suo, a volte lasciavo correre e altre volte attaccavo per la confidenza dei discorsi. "Va bene, mamma! Va bene, così! Ti prego, non esasperare la nostra distanza!" 
Era il mondo che ci divideva, noi lo sapevamo. E mia madre non perdeva occasione di ricordarmi di risparmiare le lacrime per il giorno in cui non avrei potuto dirle più niente. Sorrideva, stranamente, quando voleva mettermi in difficoltà. Intimamente la difficoltà era sua, con tutte le paure di sempre che tratteneva.
Quel tempo di piangere è arrivato all'improvviso. E' arrivato un giorno di ottobre. Silenzio e pianto non si risparmiano quando il cuore è in subbuglio. Non è una regola. E' un sentimento. Accade negli animi addolorati. Non tutti gli animi si addolorano.
Mia madre tornava sempre con un gran sospiro a casa, dopo aver fatto visita a qualcuno che aveva avuto un lutto in famiglia. Sospirava e lo sguardo si segnava di una ferita e di uno smarrimento.
A novembre sospirava per i suoi parenti morti. E pregava con un sorriso di dolcezza, gli occhi aperti di benevolenza. Il cimitero del paese è posto sopra un promontorio, e a novembre tira sempre un forte vento. Mia madre si avvolgeva nel suo scialle, e correva giù per la discesa di sassi e cardi. Mi tirava per la mano, quando andavo da piccolo con lei. Sembrava che volesse farmi conoscere i nonni che non avevo conosciuto bene. Mi stringeva forte in un abbraccio e sospirava, piangendo e sorridendo, come per un inizio e un addio.
Il due novembre girano tante macchine sempre intorno a quel cimitero posto sul promontorio. Ed il vento è ancora forte. 
Vorrei essere tanto insieme a lei. Vorrei prenderle la mano, farmi trascinare, sussurrare preghiere e piangere.
"Non piangere," mi diceva, quando si fermava davanti alla lapide dei nonni. "Non piangere".
"Sì, sì," sospiravo, senza capire allora. "Non piango" dicevo, tra me e me, soffiando nel petto di bambino.
Non piango madre mia. Non piango. Anche se non è sempre così facile sopravvivere al dolore. 
Il vento soffia ancora sopra il promontorio. 
Ci sono gli occhi addolorati di una madre che sorridono. Mancano gli occhi del figlio, che trattiene l'affanno in un mondo che non è più né lontano né vicino da te. E' un mondo senza pianti e senza sospiri, perché non riesce ad esprimerli.
Aspettami madre, verrò da te. Fuggendo da questo mondo di cartone e di plastica. Aspettami, madre. Scusa se non ho sempre tempo. Guardami ancora, come sempre. Sì, ti stringo la mano. Tu stringimi a te, e non smettere di guardarmi.

mercoledì 5 novembre 2014

Preghiera di Novembre

Eccoli chiedere di  far cambio con le loro sciagure.
Facce sfigurate, occhi pieni di veleno, senza pace: ti cercano per  dirti che sono buoni: “Non è come sembra. E’ un malessere passeggero. Mi dici qualcosa?”
“No, non ti dico più niente! Anche le parole sono un furto per uno che chiede.”
“Ma che cosa dici? Come ti permetti?” si agita, dando sfogo ai pensieri peggiori, mai trattenuti completamente: neanche nei momenti di stima. La stima serve per mettersi a ballare insieme. 
“Ma mi lasci in pace!? Te ne vai a fanculo!?” segue la reazione non voluta, ma la più opportuna.
L’animo è ferito dalla violenza, perché la finta gentilezza è un reato perseguito dalla legge. La gentilezza è in un cuore senza peccato.
Il peccato è all’origine, al di là delle manifestazioni.
“Sii più semplice ed esplicito!” storce la bocca la cattiveria, che non sa di essere allo scoperto, dopo le tante occasioni ricevute per non sbagliare. L’ultima volta è stata deplorevole: ha pianto, senza saperlo fare.
“Come può versar lacrime chi non ama gli altri? Piange per sé! E’ l’unico male che l’affligge.”
Il male è sempre alla ricerca di bene.
Anche il bene ricerca il bene.
Il male è sempre fuori dalle corse dei peccatori verso la redenzione. Il male cerca di confondersi tra la folla. A volte riesce bene nel travestimento. Poi però si manifesta nelle azioni terribili, nel tremore delle sue mani che faticano a dare un po’ di pane, nella bocca che non respira se un amore è pieno di beltà. L’amore è perverso quando chiede di essere errore. Quando è monotonia è bontà!
Soffia di nascosto la rabbia la cattiveria, che si accorge di non avere chances: quando l’amore l’ha battuta.
“Non ridete, facendo la parodia del potere! Siete  insulto all’umanità anche quando parlate di bene! Il vostro bene è cercare di stare al posto di chi gode da solo di un privilegio!”
Il bene si dimostra, e si realizza quando è povertà: piacere più che condizione primigenia della vita.
“San Francesco mi guidi! I martiri di ogni guerra siano compagni di viaggio verso la povertà e l’umiliazione!”
L’umiliazione è perversione quando è richiamo. E’ una forma di mascheramento della cattiveria, che avvicina a sé il gesto della bontà.
E’ bene allontanare ogni insulto! Siamo nati per vivere, soffrire o godere è indifferente se il risultato è la cura dell’anima. L’anima non vive di piaceri corporali. La carne è lussuriosa e brama piacere. La carne è propria di un uomo piccolo. L’anima è nei santi e nei martiri.
“Ridete! Ridete! Sono dimenticati uomini di potere come Temistocle e Cimone! Pericle è rimasto nel cuore degli studenti giudiziosi! Le lauree rendono ipocriti chi non è compassionevole verso i miseri! I Potenti non esistono se non scelgono. Se decidono per accontentare chi minaccia di lasciarli soli suscitano compassione come i miseri di cui si illudono di essere capi!”
E’ libero colui che vive lontano dai clamori di chi per errore è considerato potente! Potente si crede anche chi ha semplicemente un lavoro di sciacquino al servizio della dimenticanza! Psammetico sapete chi è? E Psammenito? Erodoto è rimasto nelle coscienze dei lettori! I potenti che ha descritto sono fastidio di una memoria che non regge!
Siamo ancora a novembre, anche se l’aria odora di cadaveri putrefatti .
La cattiveria teme per sé, sperando che non succeda nulla alla sua carne, alla sua ricchezza, alla sua casa, alla sua bramosia.
I miseri piangono e accolgono il dolore che trova compiutezza e pace  nelle suppliche e nelle preghiere.

sabato 1 novembre 2014

Il tempo, primo e secondo.

Dov'è finito quell'odore di case abitate da persone di carne e sentimenti? 
Dove sono quegli sguardi che non nascondevano l'esito del superamento della miseria individuale? Sguardi genuini che sapevano di festa e di gioia ma anche di speranze e di fallimenti accettati, di attese e novità sempre uguali, tinte di fumo e di nebbie. 
"Il tempo  passa sui resti di vite immobili."
A novembre faceva caldo nei giorni di semina. Solo la sera l'umidità si sentiva sulla testa e sotto i Loden che erano comparsi al crepuscolo e avevano infestato le vie del paese, senza dare il tempo a nessuno di comprendere l'inutilità di quelle forme colorate di grigio e di verde. Più tardi intervenne il più elegante azzurro, testimoniato dai ricordi dei sopravvissuti e dalle foto sigillate nei cassetti.
Lo spavento arrivò in primavera, per quell'inverno che cancellò le differenze tra generazioni diverse, in cui vecchi e giovani si trovarono insieme ad esibire quel lungo solco nella stoffa che partiva dalle spalle e terminava proprio in mezzo alle gambe, al di sotto delle ginocchia. 
In primavera, quell'inaccettabile conformismo venne rotto dai ragazzi che spaventati presero quelle spalline tese, quelle maniche chiuse da bottoni di lattice marrone e le lanciarono giù per le colline colorate di erba e di margherite. Uscirono di casa coi jeans rotti, strappati, collanine d'osso al collo e camicie di tela indiana riaccendendo le tensioni con i vecchi che non accettarono e non compresero quell'allontanamento e quella contrapposizione. Continuarono a esibire per molto tempo i loro cappotti di lana verde e grigia come forma di protesta contro la spavalderia e l'inganno dei loro figli. D'altra parte erano stati proprio i figli a convincere loro di rinunciare al vecchio pastrano di famiglia per passare a quei colori e quelle forme che li avrebbero resi più eleganti e moderni. 
Adesso li contestavano. Ma loro non erano abituati ai cambiamenti continui. Adesso l'eleganza era diventata una loro necessità. E certamente avrebbero combattuto perché non entrasse nel costume del paese la collana d'osso e la camicia di tela indiana. Un eccesso di quel genere non poteva passare impunito.
Dopo anni di dispute furono i vecchi a cedere a quell'altra novità dei figli mentre questi erano passati a un altro modo di mettersi in mostra. Avevano cominciato a girare coi pantaloni abbassati, le mutande ben in evidenza, le collane erano cresciute sul petto. Sulla bocca nessuna parola che avesse significato. Sputi. Sputi ovunque. Resti di persone che lasciavano tracce dei loro resti di umanità ovunque passassero.
I vecchi rinunciarono a questo punto a qualsiasi confronto, anche perché molti erano caduti, periti, negli anni. La lotta si era fatta impari. I figli avevano anche lasciato il paese. 
Ora vagano in luoghi sconosciuti perdendo pezzi di sé, dopo aver seppellito pezzi di memoria.
"Ma io mi realizzo come voglio!" vanno gridando una ragione che sembra li appaghi, anche se avvertono un disagio interiore come di infelicità. "Ma io mi realizzo come voglio!" continuano a morire nel vuoto che li conquista.
Un vecchio che non indossa uniformi di nessun tipo, che neanche dà significati a collane e pantaloni abbassati tende la mano a qualche ragazzo che lo avvicina. Entrambi nascondono da qualche parte paure che non permettono loro di sentirsi padre e figlio.
"Molti padri hanno sbagliato da allora", si ode come un mormorio. "Molti figli si realizzano come vogliono".
Le cose iniziano e finiscono. A volte finiscono prima di iniziare, quando si è appena accennato a un movimento in un senso. 
Le verità non sono mai assolute.  A volte sono immagini, altre volte sono dolore e silenzio quando non sono leggerezza e insidia. 
Si vive di incertezze che lasciano spazi di amarezza e inquietudine. Non sempre, però. 
Non sempre.
Pare che ci sia una festa da qualche parte. Non ci sono uniformi da indossare. Vince chi sa parlare. Non  c'è neanche un tema da sviluppare. Si parla di sé, se si vuole. Vince chi non fa ridere.
"Non sempre, però!".
Si può anche far ridere, si vince lo stesso. Bisogna esser veri, però.