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domenica 9 gennaio 2011

I miserabili

O questa terra è popolata da miserabili o da illusi arroganti.
Ogni giorno ci si imbatte in accattoni che ci chiedono qualcosa. Alcuni chiedono l’elemosina con dignità, sono i veri miserabili. Sono coloro che privi di risorse non vivono la loro condizione come un’umiliazione, ma come una condanna a cui li ha sottoposti l’esistenza. Non cercano le cause della loro miseria, non maledicono il mondo e Dio, non si scagliano contro l’uno e l’Altro, ma combattono la loro battaglia quotidiana contro la fame e contro le avversità della vita. Poveri, nei panni logori, nello sguardo fiero, nell’anima candida, si presentano al mondo e chiedono la carità. Non ricorrono a travestimenti per ingannare chi ha qualche centesimo in più di loro, non invidiano quella fortuna, non reclamano la stessa fortuna, ma chiedono secondo la loro dignità: perché è dignitoso chiedere quando si ha bisogno.
In realtà, i poveri che si incontrano per strada sono una piccolissima parte dell’umanità miserabile che si incontra in altri luoghi. Dove le facce non sono dignitose, gli sguardi non sono di anime candide. Neanche sono dignitose le intenzioni e le manifestazioni di questi miserabili che si credono svegli, furbi, capaci di poter prendere dagli altri senza chiedere. Convinti, nello stesso tempo, di saper camuffare la loro povertà. Gli abiti sono logori quanto quelli degli indigenti, anche se non lo sanno; e neanche sanno che la loro dignità non vale un sorriso dei veri poveri. Vestono come maschere di carnevale, troppo spesso sono vestiti di stracci buffi, colorati, secondo le mode, che qualcuno più povero di ispirazione di loro gli mette addosso. Vestiti da buffoni si recano a lavoro, dove combinano guai e cattiverie contro l’umanità ritenuta più debole. Vista più debole dai loro occhi che non sanno guardare. Si mettono al servizio di chi li comanda dall’alto, un altro povero che ha strisciato, si è abbassato alle peggiori umiliazioni, per conquistare miseramente quel posto. Questi grida e sbraita contro quell’altro, che corre senza una direzione. Sbuffa, assillato da preoccupazioni fuori luogo per una mente giusta, la mente di chi saprebbe gridare contro quell’altro che grida dall’alto, il quale si è guardato bene dal mettersi al fianco una mente così. Al fianco, non sotto. Perché una mente giusta non sa stare sotto, neanche sopporta di stare sopra qualcun altro. Una mente sapiente e giusta sa stare allo stesso piano, perché non è spaventata dal confronto, perché non è l’illusione di essere che le dà dignità. Non teme neanche la minaccia di perdere il privilegio dell’autorità del buffone, poiché è consapevole che quella condizione si addice a chi è buffone per mancanza di dignità.
Una mente sapiente e giusta deve fare i conti con questi poveri, illusi di essere.
Sono dappertutto questi poveri illusi.
Sono seduti accanto a noi in treno o negli autobus, facendo sfoggio dei colori osceni dei loro abiti logori, come logore e colorate sono le calze e le scarpe da maschere povere. Girano lo sguardo se incrociano quello degli altri, fingendo indifferenza, forse temendo di essere scoperti in una povertà che non sanno riconoscersi. Credono di essere invidiati, piuttosto, perché di invidia vivono, quel sentimento vile di chi è povero nell’anima. E a questa povertà non c’è rimedio.
Si incontrano in altri posti, i più impensati. In posta, agitano i loro piedi di lana colorata, sbuffando perché ci mette troppo tempo l’operatore dietro lo sportello con un cliente che è arrivato prima di loro. Poi sorridono, in modo finto, quando arriva il loro turno, e si piazzano con autorità davanti all’operatore, che sbuffa, poiché ha riconosciuto la povertà di quegli illusi. Minacciano azioni pesanti contro l’operatore, che continua a sbuffare. Chiedono del Direttore, della caserma dei carabinieri, del prete, del Ministro delle Poste e anche del Ministro di Dio.
Sorridono, invece, quando devono chiedere informazione su qualcosa che ha attirato la loro curiosità. Si interessano dei saldi di stagione, per portare a casa qualcosa di valore a poco prezzo, per apparire ricchi senza esserli. Chiedono lo sconto al ristorante, sperando anche qua di fare bella figura. Ma la figura di pezzenti la fanno sempre, perché sono pezzenti nati.
Altri pezzenti illusi di essere si propongono in attività intellettuali: attori, scrittori, cantanti. Copiano tutto, usano cliché già sperimentati da altri che hanno dato buoni risultati. Imitano, rubano parole, pensieri, intonazioni di voce. Non viene niente da loro, che hanno un’anima senza dignità e ispirazione. Si presentano sul palco di un teatro, si atteggiano, si arrovellano in complicati intrichi di suoni senza forma e melodia. Qualcuno applaude, qualche povero illuso che ha chiesto lo sconto per un posto in ultima fila, perché le prime file sono occupate da altri pezzenti in abiti colorati che hanno il diritto di un posto riservato alle autorità. L’autorità dei pezzenti.
Fuori dalle sale di cinema e teatri i poveri di risorse materiali, quelli con gli abiti logori, con la dignità nello sguardo e nella mente, nel cuore e nell’anima, nelle dita sporche di vita vissuta, nella gentilezza delle speranze tradite, tendono la mano avendo pietà di quei pezzenti che passando si girano dall’altra parte.

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